Kazimir Malevič vs Malevič Kazimir

 

Kazimir malevich, autoritratto, 1933

 

Kazimir Severinovič Malevič, Autoritratto, 1933, olio su tela, cm 73 x 66, Museo Russo di Stato, San Pietroburgo

 

 

 

 

Kazimir Malevich, Mami z Berlina

 

Anonimo, Mami z Berlina, 21 maggio 1927.

 

 

 

«Designare l’Assenza»
Kazimir Malevič (1879- 1935), nato a Kiev da una famiglia polacca, studia arte a Kiev e a Mosca, dove si impegna nel post-impressionismo. Dal 1910 si avvicina ai gruppi dell’avanguardia cubofuturista tra Mosca e San Pietroburgo e nel 1913 cura la scenografia della pièce futurista Vittoria sul sole. Negli anni successivi si allontana però da questi movimenti artistici e sviluppa una particolare visione dell’arte figurativa, incarnata, a partire dal 1915, nel “suprematismo”, “arte non-oggettiva” per eccellenza, fatta di forme geometriche stilizzate all’estremo e colori che da soli dominano la tela dipinta. Sviluppa difatti un discorso pittorico volto all’astrazione assoluta, giungendo fino ai limiti della pittura con opere come il Quadrato bianco su fondo bianco (New York, Museum of modern art), che seguiva il Quadrato nero su fondo bianco (Mosca, Galleria Tret´jakov), dove il «nulla viene svelato». Dopo la Rivoluzione non si considera più pittore del Suprematismo e si dedica all’insegnamento in scuole d’arte.  Inizia un periodo di intensa attività saggistica e filosofica dove viene formulando il proprio credo artistico: i suoi scritti sono tra le punte più alte dell’incontro tra scrittura e arte del Novecento e vi trovano sintesi tutte le suggestioni di un’epoca piena di cruciali sconvolgimenti, in Russia e fuori di Russia.
«Tra il 1928 e il 1934 Malevič ritorna a dipingere. I suoi soggetti non sono più figure geometriche, ma contadini dai “volti senza volti”, immersi in nitidi paesaggi, dai colori vivaci distribuiti a bande (…). È questa la fase post-suprematista o del Supra-naturalismo. La non-oggettività così intensamente sostenuta negli anni venti non è tradita ma ora si è trasferita in uomini e donne che con le loro pose solenni sembrano voler resistere alla retorica industrialista staliniana che tragicamente opprime il mondo contadino e ignora la natura. Se chiari sono i riferimenti alla tradizione delle icone, ora questi assumono altri significati. (…) Nell’Autoritratto (1933) Malevič si raffigura come un uomo del Rinascimento ma nulla rimanda alla ritrattistica dell’Umanesimo, piuttosto l’archetipo iconografico di riferimento è la Vergine Odigitria che con la mano destra accenna al Figlio, al Cammino. Anche l’artista si ritrae nello stesso gesto, ma l’angolo del pollice rispetto alle altre dita (…) suggerisce il profilo di un quadrato. [Così] la grandezza di questo autoritratto sta in quel “designare l’Assenza” (Jean Claude Marcadé), nel riconoscimento tragico che la vera realtà è senza oggetti: ultimo solitario segno contenuto in una posa dipinta due anni prima della morte a Leningrado» (Maurizio Giufré).
Malevič, vittima, a cavallo tra gli anni ’20 e ’30, di un violento ostracismo, muore di cancro a Leningrado nel 1935.

 

Un libro:
Kazimir Severinovič Malevič, Non si sa a chi appartenga il colore : scritti teorico-filosofici ; a cura di Nadia Caprioglio ; Torino : hopefulmonster, 2010

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