Jerzy Andrzejewski / David Seymour ~ Io non volevo andare a una Crociata

 

David Seymour, 1948
David Seymour, A displaced child from the Sudeten Lands plays with homemade doll, Austria, 1948

 

Di quanto vasto ed irresistibile fosse il rapimento religioso, può far testimonianza quella strana crociata di bambini che, qualche anno prima della morte di Innocenzo III (1213), mosse dalla Francia sud-orientale, e perfino da alcune contrade tedesche. Un pastorello prese a dire che gli spiriti celesti gli avevano rivelato che solo gli innocenti e i fanciulli avrebbero potuto liberare il Santo Sepolcro. Ragazzi e ragazze tra gli otto ed i sedici anni lasciarono i loro villaggi e si diressero in massa verso il mare. Molti di essi perirono uccisi dalla fatica e dagli stenti. Molti altri furono preda di avidi mercanti che allettarono a sé i fanciulli, per poi farne commercio.
FREDERICH SCHLOESSER, Storia universale

 

Per tutta la durata della confessione generale fu sospeso ogni canto, s’era ormai alla fine del terzo giorno, e sempre andavano per le immense foreste del Vendôme, camminavano senza inni né suono di campanelli, stretti gli uni agli altri, e non s’udiva che il monotono fruscìo di duemila piedi rotto a momenti dal cigolìo dei carri che seguivano il corteo di fanciulli portando i più sfiniti dalla fatica o quelli che avevano i piedi tanto piagati da non poter più camminare, la strada nell’antica foresta sembrava non avere inizio né fine, già cinque domeniche erano trascorse da quell’ora vespertina in cui Jacopo di Cloyes detto il Trovatello e talvolta, ma da poco, il Bello, aveva lasciato la sua capanna solitaria tra i pascoli di Cloyes e aveva detto a quattordici pastori e pastorelle del villaggio: comanda Iddio onnipotente che di fronte all’insensata cecità dei re, dei principi e dei cavalieri, i fanciulli cristiani mostrino amore e misericordia per la città di Gerusalemme, che è in mano ai Turchi pagani, poiché al di sopra di ogni potenza sulla terra e sul mare la fede sincera e l’innocenza dei fanciulli può compiere le imprese più grandi, e in quattordici partirono quella notte di primavera colma di rintocchi di campane e del pianto delle madri abbandonate, ma ora che andavano nella foresta e da tre giorni durava la confessione generale che doveva mondarli da ogni colpa e da ogni peccato, erano ben più di mille, il sole lontano splendeva indifferente sopra le distese d’ombra, umidità e silenzio, ma più forte di quel lontano bagliore era l’ombra dei tronchi possenti e delle chiome, dei rami, delle foglie:

 

all’alba, quando la luce ancora tenue e incerta cominciava lentamente a levarsi sulla distesa verde e silenzio, gli uccelli mattutini gettavano strida dal folto della foresta, e di nuovo li si udiva al cader della sera, ma la notte, mentre i fanciulli proseguivano il cammino per non interrompere la confessione, in quelle notti piene del monotono frusciare di migliaia di piedi nudi, correva loro incontro dalle tenebre il doloroso lamento della civetta, e nel buio oscillavano mute le nere croci, gli stendardi e gli altari, s’era dunque alla fine del terzo giorno di confessione generale, e il vecchio che da tre giorni confessava i fanciulli, un uomo alto e greve, che vestiva il saio bruno dei frati minori e che dall’inizio della confessione marciava in testa al corteo, al posto di Jacopo, camminava lento, come un uomo stanco, affondando penosamente nella terra i piedi gonfi e pesanti, e ad uno ad uno i fanciulli, a cominciare dal più giovane, gli si avvicinavano e camminando al suo fianco confessavano i loro piccoli peccati ancora innocenti:

 

David Seymour, 1948
David Seymour, Untitled, Vienna. 1948.

 

se i giovani non salveranno il mondo dalla perdizione, nessun altro potrà salvarlo, ecco, io ho riposto tutte le mie speranze, tutte le mie aspirazioni, in questi fanciulli protesi verso una meta che li sovrasta, come sovrasta me e tutti gli uomini della terra, veglia, o Signore, su questi fanciulli innocenti, io, che non ignoro alcun peccato e che conosco fino all’ultimo respiro ogni umano errore, io che malgrado l’abito e la pelle arida e queste labbra vizze e queste gambe di vecchio che sono un’offesa alla gioia e all’armonia, conosco bene il nero fondo degli abissi come l’illusorio ardore delle passioni, io ti supplico, Dio grande e onnipotente, fa che mai si avveri il sogno che feci quella notte in cui desiderai servire questi fanciulli innocenti, il sogno in cui vidi un deserto inanimato e riarso dal sole, guarda – udii una fredda voce accanto a me – ecco la Gerusalemme degli assetati e degli affamati, qui sorgono le sue sante mura e le sue torri, qui vedi le porte del paradiso, poiché esse s’aprono davvero soltanto in questa morta desolazione arsa dal sole, menti – dissi – il deserto è soltanto il deserto, esso è il sepolcro degli affamati e degli assetati – rispose quella stessa voce – nel deserto si levano le sante mura e le torri di Gerusalemme, in un deserto inanimato e arso dal sole si aprono innanzi agli assetati e agli affamati le gigantesche porte del paradiso, ricordo, volevo ancora gridare: menti, il deserto è solo il deserto, quando capii che la voce invisibile non era più presso di me, e scorsi due fanciulli che avanzavano soli nel deserto, Dio – pensai – se fra mille e mille essi fossero i soli a salvarsi, Dio, fa che non sia così, e mentre lo pensavo il più grande dei due, che conduceva per mano il più piccolo, vacillò e cadde, va’ – disse sollevando la testa con un ultimo sforzo – io riposerò un momento, fra poco sarà l’alba, vedevo le sue mani affondare nella sabbia asciutta e la sua testa bruna che si batteva contro quell’ultima mortale fatica, va’ – ripeté – è ancora buio, ma fra poco spunterà l’alba e vedrai Gerusalemme, e allora il più piccolo, biondo, minuto, chiese: non vieni con me?, va’ – disse l’altro, e io vidi quella testa che ricadeva senza più forza, le labbra nella sabbia – va’ avanti, dritto davanti a te, già comincia il giorno e fra poco vedrai le porte e le mura di Gerusalemme, va’, io riposerò un poco e poi verrò con te, allora l’altro avanzò obbediente davanti a sé e dai suoi movimenti mi resi conto d’un tratto che era cieco, Dio – pensai – strappami da questo sogno, ancora non scorgevo il volto del bambino cieco, camminava solo, attraverso il deserto inanimato e arso dal sole, tastando il vuoto con le mani incerte, quasi cercasse un appoggio, mentre l’altro, già con le labbra morenti nella sabbia del deserto, ancora riusciva a dire:

 

David Seymour, 1948
David Seymour, Afternonn nap in the kindgarten for children of Sudeten Displaced Persons, Austria, 1948

 

ecco l’alba, vedo le immense mura e le porte di Gerusalemme dorate da una luce che non so da dove venga, se dalle mura stesse, dalle porte e dalle torri, o da quella vampa dorata che riempie l’aria ed il cielo, lassù, Dio, fa che non s’avveri mai questo sogno crudele, e già stavo per svegliarmi, benché ancora immerso in quel sogno, quando il piccolo cieco biondo che continuava ad avanzare accarezzando con le palme l’aria vuota, quasi sfiorasse le vere mura, volse verso di me il viso, e allora, no, non allora, ma subito dopo quella notte d’incubo, quando oppresso da tutti i peccati e più d’ogni altro ansioso di vederli rimessi, andai incontro ai fanciulli crociati e dissi: miei piccoli, cari fanciulli, scelti da Dio per riscattare l’umanità infelice, se aspirate ad una meta così alta, purificatevi prima dei vostri pur innocenti peccati, sorga tra voi e fin dall’inizio del vostro lungo cammino il tempo della confessione generale, sì, allora scorsi davanti a me il volto del cieco solitario nel deserto inanimato e arso dal sole, e quello, fa che non sia, Dio grande e onnipotente, era il volto di Jacopo di Cloyes, ed ora si avviava alla fine il terzo giorno di confessione generale, per ultimi si confessavano i fanciulli di Cloyes che camminavano in testa al corteo, fra loro camminava Jacopo, camminava Alessio Melisseno, il solo che non veniva da Cloyes, camminava Bianca, figlia del carraio, camminava Roberto, figliolo del mugnaio, camminava Maud, figlia del fabbro, Jacopo pensava: ascoltando ogni parola di quello che egli raccontava disteso accanto a me nel buio, ho visto per la prima volta le mura immense e le porte di Gerusalemme, dorate da una luce che non sapevo di dove venisse, se dalle stesse mura, dalle porte e dalle torri, o dalla vampa dorata che riempiva l’aria e il cielo, e camminando dietro di lui Alessio Melisseno pensava: ti amo, benché non sappia se il mio amore nasca soltanto da te e da me, o se non l’abbia destato dal nulla colui che già nel nulla è tornato, e se questo amore sia un legame tra noi due, oppure il riflesso di un altro amore che appena articolò le sue prime parole una sola volta prima di affondare tra le gelide spume di acque mortali, per non incarnarsi mai più in un corpo e in una voce, non so da dove sia scaturito il mio amore per te, ma ovunque abbia tratto la sua origine e i suoi primi incantamenti, mai cesserò di amarti, poiché, se esisto, è solo per affermare con tutto me stesso, io, non amato, il bisogno di amare, e Bianca pensava: scenda la notte, finalmente, così che egli venga da me quando tutti saranno immersi in un sonno profondo e mi dica sottovoce: vieni, e allora mi alzerò e lo seguirò, cammineremo attenti a non svegliare nessuno, finché non saremo in un luogo appartato e saremo soli, ci spoglieremo in silenzio, poiché né a me né a lui servono parole, io so che cosa lui pensa e lui sa cosa penso io, ed entrerà in me brutalmente, con violenza, prenderemo piacere dai nostri corpi, e nel piacere, uniti nella carne, penseremo: io, che non lui me lo dà, lui, che non a me lo destina, e Roberto pensava: fra poche ore farà buio, la notte sarà fredda e la rugiada coprirà la terra, se prima dell’oscurità non saremo giunti ad un villaggio passeremo la notte nella foresta, sotto le stelle, e Maud tremerà dal freddo, se mi amasse potrei proteggerla col calore del mio corpo, potrebbe dormire tranquillamente tra le mie braccia, con l’amore si può far tacere perfino la fame, Maud pensava: buon Gesù, Gesù misericordioso, verso il cui lontano sepolcro cammino, perdonami, Signore buono e misericordioso, se vado al tuo sepolcro non per liberarlo dalle mani dei pagani Turchi, non è l’amore per te che mi ha spinto a lasciare mio padre e mia madre, e che mi spinge ora verso il tuo lontano sepolcro, ma un amore diverso che è in me, un amore che riempie tutti i miei pensieri e tutto il mio corpo, e un attimo dopo, giunta al fianco del vecchio confessore, prese a dire:

 

David Seymour, Napoli
David Seymour, Napoli, 1948

 

sempre ogni sera, prima di addormentarmi, ho detto una preghiera che mi ha insegnato mia madre, ma ora, da quando ho lasciato Cloyes e vado con gli altri fanciulli del villaggio e tanti fanciulli di altri villaggi e paesi, ora ogni sera, prima di addormentarmi, oltre alla preghiera che mi ha insegnato mia madre, ne recito un’altra che è soltanto mia, è la preghiera, padre, del mio grande peccato, di altri peccati così gravi non ho ricordo e perciò non posso parlare che di quest’unico peccato, che è il più grave che abbia commesso, ma la preghiera che ogni sera aggiungo alle comuni orazioni non serve a diminuire il mio peccato, poiché so che potrei chiedere misericordia solo se riuscissi a rinnegare il mio peccato, la mia debolezza, i miei desideri peccaminosi, e tuttavia ogni sera prima di addormentarmi recito questa preghiera, la preghiera del mio peccato, e distesa nell’oscurità dico, ma non ad alta voce, nella mente: Gesù, buon Gesù misericordioso, verso il cui lontano sepolcro cammino, perdonami, buon Signore misericordioso, se vado al tuo sepolcro non per liberarlo dalle mani dei Turchi pagani, non è l’amore per te che mi ha spinto a lasciare mio padre e mia madre e che mi spinge ora verso il tuo lontano sepolcro, ma un amore diverso che è in me, un amore che riempie tutti i miei pensieri e tutto il mio corpo, le mie labbra, le mie mani e i miei occhi, questo mio amore che è in me come se fosse parte di tutta me stessa, ed è stato questo amore che riempie tutti i miei pensieri e tutto il mio corpo a indurmi a lasciare la casa natale, ad abbandonare senza una parola d’addio mio padre e mia madre, perdonami, Gesù dolce e misericordioso, se vado al tuo lontano sepolcro non per amor tuo, ma invasata e prigioniera di un altro amore, e camminava con gli occhi bassi cercando di adattare i suoi passi brevi a quelli del confessore: gravi, lenti, come se, ogni volta che i suoi piedi nudi e gonfi toccavano terra, egli cercasse di penetrarvi quanto più poteva, e solo in quell’affondare i piedi malfermi nella terra sembrava riacquistare la forza di staccarli di nuovo dal suolo, Maud pensava: è vecchio e stanco, e camminava sempre ad occhi bassi, vedeva i piedi nudi di quell’uomo al quale doveva confidare il suo peccato, ma vedeva anche le proprie mani incrociate immobili sul petto, vedeva il bianco della propria veste avanzare lentamente, e passavano su quel bianco le ombre mute e ferme della foresta, vedeva se stessa andare tra quelle ombre come fosse presa in una rete intessuta d’ombre e luci, e avvinta in quella rete avanzava dietro ad essa, i suoi piccoli piedi intenti a misurare d’istinto il passo sulla stanchezza dell’uomo cui camminava al fianco per confessargli il suo grande peccato, ma benché camminassero isolati dagli altri sentiva che come le ombre della foresta e i riflessi del sole invisibile imprigionavano il rigido bianco della sua veste così anche il suo corpo era avviluppato e imprigionato dalla folla invisibile e muta, poiché sapeva che subito alle sue spalle si snodava il corteo, fra le ombre della foresta e il sole invisibile, oscillavano le nere croci, gli stendardi, gli altari multicolori, sotto cui avanzava come un immenso sospiro la folla compatta e formicolante di teste bionde e brune di fanciulli, udiva dietro di sé il monotono fruscìo di migliaia di piedi che avanzavano, malgrado la fatica, e camminava sempre ad occhi bassi, pur vedendo tante cose nella sua volontaria costrizione, e tante cose udendo nel silenzio che avvolgeva quell’ora crepuscolare, vedeva ancora le ombre lunghe di quelli che la seguivano più da vicino, ombre familiari, che avrebbe potuto chiamare per nome, ecco l’ombra della veste riccamente ornata di Bianca, l’ombra lievemente oscillante del manto purpureo di Alessio Melisseno, subito accanto l’ombra slanciata di Roberto e finalmente fra quelle l’ombra delicata di Jacopo, alla cui vista sentì il proprio cuore in tumulto, sotto le mani incrociate strette sul petto: Gesù, pensò, perdonami, Gesù dolce e misericordioso, se vado al tuo lontano sepolcro non per amor tuo, ma prigioniera e colma di un altro amore, finché egli le domandò:
 

David Seymour,  Displaced Persons Camp from the Sudeten land, Vienna, 1948
David Seymour,: Displaced Persons Camp from the Sudeten land, Vienna, 1948

 

e ti addormenti, figlia mia, dopo questa preghiera? sì, padre – gli rispose – dopo questa preghiera mi addormento, e pensò: di tutte le ore del giorno e della notte a lui piaceva soprattutto quella del crepuscolo, la capanna che si era costruito al margine della foresta dominava i prati, così stando davanti ad essa poteva vedere tutto il pascolo, tante volte ho desiderato guardare i nostri pascoli con i suoi occhi, con quegli occhi tanto puri che non trovo per la loro purezza nessun paragone, quando giù per la valle verde come smeraldo cadevano le prime ombre e il cielo si impregnava di un silenzio viola, fra l’erba cantavano i grilli e gli uccelli nel folto delle querce si lanciavano richiami prima di assopirsi, allora, non potendo vedere tutto ciò coi suoi occhi, osservavo lui: stava ritto davanti alla capanna, lassù, una mano sul fianco, i raggi del tramonto calavano lentamente lungo il suo corpo, ma egli attendeva paziente che l’ultimo raggio si spegnesse ai suoi piedi, e quando anche l’ultimo bagliore s’era estinto, portava le mani alla bocca e lanciava nella vastità dello spazio e del silenzio un grido profondo – camminando sempre ad occhi bassi animava l’ombra piatta col gesto delle mani portate alla bocca e ne riempiva il silenzio col grido gutturale che si levava trionfante sulla valle di smeraldo già invasa dalle prime ombre della notte – a quel grido, da ogni parte del pascolo s’alzavano i pastori e lanciando uguali richiami con le voci ancora infantili radunavano le vacche sparse per i prati, il giorno finiva, tutti rientravano al villaggio, lasciavano quei luoghi e lui solo restava nella sua capanna, finché una sera accadde che anche egli se ne andò, l’ombra che l’accompagnava col suo silenzio, perché essa andava sempre ad occhi bassi, l’ombra che come lei era imprigionata nella rete di chiaroscuri della foresta prese d’un tratto un corpo quasi tangibile: […]

 

 

 

 tratto da:
Jerzy Andrzejewski, Le porte del paradiso ; traduzione di Ludmila Ryba e Alberto Zoina ; Palermo : Sellerio, 1988 Collezione · La memoria ; 170 Traduzione di Bramy raju. Classificazione Dewey · 891.8537 (19.) Narrativa polacca. 1919-
Jerzy Andrzejewski nasce e muore a Varsavia (19 agosto 1909 – 19 aprile 1983). Laureatosi in filologia polacca, fu redattore di varie riviste culturali e deputato al parlamento polacco tra il 1952 e il 1957. Abbandonato l’appoggio al regime comunista entrò presto a far parte del movimento dissidente, pubblicando gli ultimi libri illegalmente.
Figlio di una stagione politica ormai passata, e spesso rimossa, Andrzejewski è stato uno degli autori polacchi più tradotti all’estero. Anche in Italia i suoi racconti e romanzi furono a suo tempo pubblicati, ma difficilmente oggi reperibili. La sua fama è stata favorita dalla riduzione cinematografica da parte di Andrzej Wajda di Cenere e diamanti (1948, tr. Lerici) e de Le porte del paradiso (1967, tr. Sellerio).
Scrittore “moralista” e impegnato, attraversa le varie stagioni: dal cattolicesimo anteguerra vicino a posizioni di destra, alla militanza culturale e politica vicina al regime comunista dei primi anni Cinquanta; dalla crisi ideologica degli anni del “disgelo” (La volpe d’oro 1955, tr. Theoria; Viene travalicando i monti 1963, tr. Jaca Book) fino al disincanto degli ultimi anni (Poltiglia, 1981 e Nessuno, 1983).
La storia raccontata in Le porte del paradiso, attraverso la parabola della Crociata dei bambini (1212) mai giunti a Gerusalemme, mostra come i destini dei singoli individui, spinti da motivazioni spirituali, si scontrano ed escono sconfitti dalla materialità e dalle menzogne del reale. «L’unica ininterrotta frase nella quale si distende il racconto rappresenta, simbolicamente, l’atemporalità del senso della vita e di un mondo che, nella pessimistica visione andrzejewskiana, non sarà salvato neanche dai ragazzini» (Luigi Marinelli).

 

David Seymour, il cui vero cognome era Szymin, (detto Chim), nacque a Varsavia nel 1911 da genitori editori di libri yiddish. Visse in Russia, poi a Lipsia e infine a Parigi dove si iscrisse alla facoltà di chimica alla Sorbonne. Nei primi anni trenta realizza i primi reportage sui lavoratori parigini di notte. Conosce e si lega a Robert Capa e a Henri Cartier-Bresson. Con Capa documenta la guerra civile in Spagna e la Seconda Guerra Mondiale in Europa.
Al termine del conflitto, nel 1947 i tre amici fondano la Magnum Photo. Nel 1948 l’Unicef gli commissiona un lavoro di documentazione dei bambini in Europa all’indomani della guerra. Il lavoro documenta la tragedia dell’innocenza infantile segnata dalla guerra e l’indomita speranza di un futuro.
David Seymour muore durante un reportage lungo il canale di Suez il 10 novembre 1956.

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