Anonimo – Il falcone desiderato

Saggio non credo che sia
chi nasconde il suo amore
se ha agio di manifestarlo.

In Guillaume au faucon tutto è giocato (…) su un calembour finale: per il resto, il racconto è in tutto e per tutto la storia di un amore mal corrisposto, che conduce l’amante a una maladie d’amour. Il giovane Guglielmo si innamora della sua castellana: approfittando dell’assenza del signore, le si dichiara, ma viene respinto. Guglielmo si serve dell’arma del digiuno per far pressione sulla dama, che però resiste, e minaccia di raccontare tutto al marito, al suo ritorno. Alla fine, però, è la donna a cedere, con il permesso, per così dire, del marito, che viene ingannato con un gioco di parole. Dice al signore che Guglielmo sta morendo per amore del suo falcone, e il signore generosamente glielo concede. Il doppio senso è in faucon: faus, “falcone”, ma anche “falso” più con, “vagina”; così, spiega il poeta, Guglielmo avrà due cose per una: il falcone tanto desiderato e l’amore della donna. Dove, si badi, il tradimento della donna rientra pienamente nelle regole del gioco cortese: non vi rientra invece la sua astuzia e il modo di prendere in giro il marito, proprio di una donna uscita da un fabliau, non da una storia cortese. (Charmaine Lee)

IL FALCONE DESIDERATO


Chi voglia trattare di avventure
non ne deve scartare nessuna
che sia buona da raccontare.
Adesso ve ne dirò io una.

C'era una volta un giovane
molto gentile e bello;
e aveva nome Guglielmo.
Avreste potuto cercare in venti regni
prima di trovarne uno tanto gentile:
e discendeva da un illustre casato.
Guglielmo non era un cavaliere,
era un valletto; per sette anni interi
era stato al servizio di un castellano,
ma ancora a nulla gli era valso
il servizio che prestava.
Per prendere le armi lo serviva,
ma gli mancava ogni voglia
di diventare presto cavaliere;
e vi dirò il perché.
Amore lo aveva messo in pena:
amava la moglie del castellano,
molto gli piaceva la sua condizione,
perché tanto ne era innamorato
da non potere più tornare indietro;
ma lei nulla sospettava
del suo ardente amore.
Se l'avesse saputo
si sarebbe ben guardata
dal rivolgergli la parola.
In questo (dirò le cose come stanno)
la donna si dimostra perfida:
quando ha la certezza
che un uomo di lei si è invaghito,
gli nega la parola
anche se lui ne impazzisce;
più volentieri si darebbe
a un cialtrone da strapazzo
che non a chi spasima per lei.
Ma se la donna l'ama appena un po',
perdio, non si comporta certo bene
quando agisce così:
da Dio sia maledetta,
perché commette un peccato ben grave.
Quando accalappia un uomo
in un male da cui è difficile scampare,
non dovrebbe essere così malvagia
da non soccorrerlo affatto,
perché lui non può pensare ad altro.
Ma voglio tornare alla mia storia.
Guglielmo ha riposto il suo amore
e ogni suo pensiero nella dama.
Amore l'ha messo in suo potere,
e deve patire grandi sofferenze.
Voglio parlarvi un pochino
delle bellezze della dama.
Nemmeno il fiorellino di prato
o la rosa di maggio o il giglio
è così bello, a mio parere,
com'era bella questa dama.
Chi per tutto il mondo cercasse
non potrebbe trovarne una più bella,
neppure nel reame di Castiglia
che vanta le dame più belle
che ci siano al mondo.
E con arte vi riferirò,
partitamente, delle sue bellezze.
Quando era adornata e vestita
la dama appariva assai più bella
e più agghindata e più graziosa
di un falcone dopo la muta
o di uno sparviere o pappagallo.
Di porpora trapunta d'oro
era la tunica e il suo mantello;
e non era per nulla senza pelo
la sua pelliccia d'ermellino.
Il mantello, di giuste misure,
aveva al collo un bordo
di zibellino nero e bianco.
E se altre volte ho descritto
bellezze riposte da Dio
nel corpo o nel volto di donna,
voglio ora che il mio cuore
faccia che io non dica menzogna.
I suoi capelli, quando erano sciolti,
sarebbero parsi,
a chi li avesse visti,
quasi dei fili d'oro fino,
tanto erano splendenti e biondi.
La sua fronte era liscia e levigata
come se fosse stata plasmata a mano;
i sopraccigli, bruni e ben spaziati;
e gli occhi cerulei
le ridevano in volto
limpidi e profondi.
Aveva naso diritto e lungo;
e sul viso il rosso sul bianco
disposto con grazia tra il mento
e l'orecchio s'accordava con più risalto
che la sinopia sull'argento.
La bocca aveva così vermiglia
da sembrare un fiore d'altea,
tant'era piccola e rossa;
e il mento era così bello
che non posso descriverlo.
Ancora più giù, la gola
sembrava ghiaccio o cristallo,
tanto era bianca e lucente;
e sulle punte dei seni
due minuscole mammelle
sporgevano come due piccole mele.
Che dirò? Con lei Dio superò se stesso
per involare con questa meraviglia
il cuore e il senno della gente:
nessuno vide mai una dama così.
Natura, sua creatrice,
tanto si era dedicata a lei
con ogni sua arte che poi
per lungo tempo rimase impoverita.
Della sua bellezza altro non voglio dire.

Un giorno il signore del castello
partì per un torneo, ad aumentare
la sua fama e il suo valore.
Andò in un paese lontano,
e vi restò a lungo
perché era assai potente e ricco. Portò con sé
molti cavalieri e servitori.
Alla sua scorta non c'era nessuno
che non fosse un distinto cavaliere,
e anche il più codardo era un prode.
Guglielmo era molto agitato:
al torneo non volle andare,
voleva piuttosto restare lì dov'era.
Rimase al castello: il dio d'Amore
l'ha colto così nel dubbio
che non sa più che decisione prendere.
Del male che lo angoscia
così si lamenta con se stesso:
"Oh!" si dice, "sventurato me,
che nacqui con una sorte avversa!
Ho riposto il mio amore in luogo tale
che mai non potrò vedere il giorno
che il mio desiderio sia esaudito.
Troppo a lungo ho nascosto, io credo,
il mio amore per lei.
È follia languire ogni giorno per lei
senza che lei lo sappia.
È ben giusto che io glielo dica,
so che farei una pazzia
se non glielo dicessi al più presto:
tanto varrebbe che io amassi
tutte le dame d'oltremare!
Tu le dirai... E che le dirai?
Non avrai mai tanto coraggio
da osare di confessarle
che hai sofferto martìri lei
per Glielo dirò certo, perdio,
ma è difficile cominciare...
Questo le dirò, che l'amo,
anche se nulla ne ottenessi."
"Non so che fare," si dice Guglielmo;
"eppure avevo pensato a trarmi indietro,
quando questa faccenda cominciò.
Amore mi scalda, Amore mi brucia."
Guglielmo si fa allora coraggio:
deciso, e non controvoglia,
entra nel salone.
Con calma e senza far rumore
spinge la porta, e entra nella camera.
...
La fortuna gli concesse
di trovare la dama da sola.
Le damigelle, tutte insieme,
se n'erano andate mi sembra,
altrove, in un'altra camera:
si divertivano insieme
a ricamare su un drappo di seta
non so se un leoncino o un leopardo,
che era l'emblema del cavaliere.
Guglielmo ruppe ogni indugio.
La dama sedeva su un letto:
dama più bella non fu vista mai
da essere umano.
Guglielmo era tutto pensieroso:
quando vede il momento (ha fretta ormai)
rivolge alla dama un dolce sguardo
e la saluta. Lei non ne fu confusa:
gli rivolse un bel sorriso
e tutta ridente lo salutò.
"Guglielmo," gli dice, "venite avanti.”
Lui le risponde sospirando:
"Signora, molto volentieri."
"Sedetevi qui, mio caro amico."
La dama non si rendeva conto
dei sentimenti di Guglielmo
quando l'aveva chiamato "caro amico":
se li avesse conosciuti,
non l'avrebbe certo detto.
Guglielmo si siede sul letto
affianco alla dama dal chiaro viso;
con lei ride e parla e scherza,
e lo stesso fa la dama:
parlano di molte cose.
Guglielmo sospira profondamente:
"Signora," le dice, "ascoltatemi,
e datemi un consiglio sincero,
vi prego, su quanto vi dirò."
"Parlate," dice lei, "ve lo consento."
"Se un chierico o un cavaliere,
o un borghese o un valletto,
o anche uno scudiero o chiunque sia
è innamorato: ditemi che ve ne pare
se, amando una dama o una damigella,
o una regina o una contessa,
o una fanciulla qualsiasi,
di alta o di bassa condizione,
l'ha amata per sette anni
nascondendole il suo amore,
e ancora non osa rivelarle
che per lei soffre un tale martirio;
eppure facilmente potrebbe farlo,
se trovasse abbastanza coraggio,
perché non gli mancano occasioni
per svelarle il suo cuore.
Ditemi dunque che cosa ne pensate:
siccome ha tanto celato il suo amore,
vorrei sapere se la sua
è stata saggezza o follia."
"Guglielmo," lei risponde,
"vi dirò che ne penso.
Saggio non credo che sia
chi nasconde il suo amore
se ha agio di manifestarlo.
Lei potrebbe muoversi a pietà;
e se invece non volesse amarlo,
certamente lui sarebbe folle
a tormentarsi ancora per lei.
Se Amore lo possiede in modo
che non può più ritirarsi,
io gli consiglierei di parlare
con sicurezza alla sua donna:
Amore richiede coraggio.
Io vi do un giusto parere:
chi è preso dai lacci di Amore
non deve essere codardo,
ma audace e sicuro di sé.
Se io fossi innamorata,
per la fede che devo a san Dionigi,
mi farei ardita, e parlerei.
Gli consiglio perciò che glielo dica:
se lei lo vuole amare, che lo ami.
Guglielmo gettò un lamento,
e sospirando rispose:
"Signora, voi avete davanti a voi
colui che ha nutrito tale dolore,
e così a lungo, per amore vostro.
Signora, io non osavo svelarvi
il dolore e il martirio
che per tanto tempo ho patito,
e con gran pena ve l'ho ora rivelato.
Mia dolce signora, mi consegno a voi:
in vostro potere,
mi pongo a vostro comando.
Signora, guarite la grande ferita
che porto nel mio corpo.
In verità nessun vivente
mi può risanare, se non voi.
Di questo mi posso vantare:
sono, ero, e sarò tutto vostro.
Nessun uomo è mai vissuto
più dolorosamente.
Signora, io vi chiedo la grazia
del vostro amore: è per questo
che mi trovo in tale tormento."
La dama ascolta le parole di Guglielmo,
ma senza tenerle in gran conto;
non stima più di un soldo
quello che Guglielmo le ha detto.
Così gli rispose,
e cominciò a dire:
"Guglielmo, voi scherzate?
Io certo non potrei amarvi.
Prendete in giro delle altre donne,
non me: nessuno mai, perdio, si è beffato
di me, come voi fate adesso.
Se ancora insisterete
su quanto mi avete detto,
non avrò altra scelta,
che Dio mi aiuti, che farvi onta.
Io non so che sia amore,
né ho idea di che cosa mi chiedete.
Mio signore, andate via,
fuggite da qui, uscite.
Che la vostra persona
non compaia mai più in mia presenza.
Certo il mio sposo ne sarà felice,
quando saprà ogni cosa:
certo, non appena sarà di ritorno,
gli dirò di questo discorso
che avete preteso d'impartirmi.
Mi sembrate stupido e pazzo.
Sia maledetto, signore,
chi vi ha portato qui!
Andate via, amico mio."
Sappiate che queste parole
lasciarono Guglielmo assai stupito:
si pente di quello che ha detto
e rimane senza risposta
per il dolore e la sorpresa.
"Ahimè," si dice, "sono finito!
Di questo mi ricordo,
che arriva sempre troppo presto
il messaggiero di sciagura."
Ma Amore lo esorta, e gli comanda
di parlare ancora:
non può lasciarla così.
"Signora," le dice, "mi dispiace
di non avere altro favore da voi.
Ma gravemente peccate:
mi avete preso e legato,
e intendete farmi ancora più male.
Uccidetemi, se lo volete.
Io vi ho domandato il vostro amore,
ora vi faccio il dono di un giuramento:
che mai più mangerò fino al momento
che mi sarà concesso
in dono il vostro amore,
per il quale io sono in tale pena."
Disse la dama: "Per sant'Omero,
certo il vostro digiuno sarà lungo,
perché, se non mangerete
finché non avrete il mio amore,
credo che avrete da aspettare
finché il grano nuovo non sia mietuto."

Guglielmo uscì dalla camera
senza prendere da lei congedo.
Fece preparare un letto
e vi si stese: ma quando
si fu coricato,
ben poco riposò.
Per tre giorni interi vi rimase,
senza mangiare o bere,
e così arrivò al quarto giorno.
La dama si mostrava ancora superba,
e non lo degnava di uno sguardo,
ma Guglielmo osservava il digiuno,
e niente mangiò.
Il suo male non aveva tregua,
e lo tormentava giorno e notte,
finché Guglielmo perse il colorito.
Non c'è da stupirsi se diventò magro
per il digiuno e per la lunga veglia.
Guglielmo era molto agitato:
quando, per poco, chiudeva gli occhi,
gli sembrava di aver lì nel suo letto
la dama che era tanto bella,
di stringerla tra le sue braccia,
e di avere da lei ogni piacere.
Finché il sogno dura, Guglielmo è in pace,
perché la carezza e la bacia;
ma appena il sogno svanisce,
ecco che sospira, balza su,
stende le braccia e non la trova
(certo è pazzo chi insegue una follia);
cerca la dama nel suo letto,
ma invano: allora il petto
e la faccia si colpisce.
Amore lo tiene, Amore lo stringe,
Amore l'ha messo in gran tormento.
Avrebbe voluto che quel sogno
fosse durato più a lungo.
Il dio d'Amore gli impone
brividi e tremiti.

Vi voglio ora parlare del castellano
che torna dal torneo
con il suo folto seguito.
Ecco che arriva uno scudiero
per dare l'annuncio alla dama
che il suo sposo ritorna dal torneo.
Porta con sé quindici prigionieri,
cavalieri ricchi e potenti,
e immenso è il resto del bottino.
La dama apprese la notizia
lieta e felice,
e ne fu piena di gioia.
Subito si apparecchiò il salone,
e si preparò un banchetto sontuoso.
La dama fece ogni preparativo
per accogliere il suo signore.
Guglielmo intanto era molto agitato,
la dama decise
di annunciargli che suo marito
tornava dal torneo;
e gli avrebbe chiesto perché
era tanto folle da digiunare.
Andò al capezzale di Guglielmo,
a lungo attese accanto al letto,
ma Guglielmo non si accorse di lei.
Lei lo chiama per nome,
ma lui non le risponde,
vive in un altro mondo.
Lo tocca allora con un dito,
e lo chiama un po' più forte.
Quando l'ode, sobbalza;
quando la sente, è tutto in sudore;
quando la vede, così la saluta:
"Signora, siate la benvenuta
come la mia salvezza e il mio aiuto.
Signora, nel nome di Dio vi prego:
abbiate pietà di me."

Rispose la dama: "Guglielmo,
per la fede che vi devo,
non avrete la mia pietà
nel modo che voi la intendete.
Mal avete ripagato il mio signore
di quanto ha fatto per voi,
quando avete preteso la sua sposa.
È così che lo amate?
Non vedrete mai il giorno
che mi avrete in vostro possesso.
Ma commettete una grande follia,
Guglielmo, non mangiando.
Io non vi concederò mai
il dono che chiedete;
e se così vi uccidete,
la vostra anima sarà dannata.
Siate saggio ed alzatevi:
mio marito ritorna dal torneo,
e, per la fede che vi devo,
non vedo l'ora che sia qui.
Se Dio mi aiuta," soggiunse,
“saprà bene perché siete a letto,
e così non avrete scampo."
“Signora," disse lui, "non m'importa:
non toccherei cibo
anche se dovessi essere fatto a pezzi:
ho sulle spalle un fardello tale
che non posso metterlo giù.
Da voi non mi posso difendere,
né col digiuno né con la morte.
Ditegli, signora, quello che volete."
La dama lasciò Guglielmo: lo lasciò
senza concedergli il suo amore.
Tornò nel salone
addobbato con grande fasto:
le tavole basse erano apparecchiate,
candide tovaglie le ricoprivano.
Poi fu portato il pranzo,
vino e pane, e carni allo spiedo.

Arrivarono allora i cavalieri
e presero posto per mangiare,
e furono serviti assai meglio
di quanto qui potremmo raccontare.
Il signore mangiava con la dama accanto:
volgeva lo sguardo intorno nel salone
per cercare Guglielmo,
aspettando che venisse a servirlo;
fu molto meravigliato
non vedendolo venire.
"Signora," dice, “mi sapreste
dire perché Guglielmo
non è venuto da me?"
"Guglielmo si è fatto troppo ardito,"
dice la dama. "Vi dirò ogni cosa
senza mentire.
È malato di una grave malattia
per la quale non credo
che esista medicina."
"Signora," dice lui, "per san Dionigi,
mi dispiace che non stia bene.
Ma se avesse saputo la vera ragione
per la quale era a letto, Guglielmo
mai più da quel letto si sarebbe alzato.
Il signore ancora non sa
che una grave colpa è stata commessa,
e io credo che fra poco lo saprà:
la dama gli racconterà la storia
che costerà la testa a Guglielmo,
se continuerà a digiunare.
In quel momento i cavalieri
si alzarono, e la dama non volle più indugiare,
prese il marito per il mantello
e gli disse: "Signore, molto mi meraviglio
che non andiate a visitare Guglielmo.
Dovreste ben sapere
quale male lo tormenta,
e credo che stia per venir meno.”
Allora subito andarono da Guglielmo:
lo trovarono assorto nei suoi pensieri.
Il signore e la dama
arrivano accanto a Guglielmo
che non teme la morte a cui va incontro,
perché non vuole più soffrire
tanti martìri e tante pene,
e gli piace perciò che la morte sia vicina.
Il signore si inginocchiò
ai piedi di Guglielmo, e in questo
si comportò da uomo leale.
Dolcemente lo interrogò:
"Guglielmo, mio dolce amico,
che male è questo che vi ha colto
così d'improvviso? Ditemi, come state?"
"Male, o mio signore," gli fa lui,
"un dolore fortissimo mi ha preso,
una pena che va e viene
mi tortura negli arti e nella testa:
e non credo che più ne uscirò."
"Potete mangiare o bere?"
"Non posso ingerire cosa
che Dio abbia creato."
Ma la dama non poté più trattenersi,
a costo di essere scorticata viva.
"Signore, perdio, questo non è vero.
Guglielmo può dire ciò che vuole,
ma so io veramente
quale male l'ha preso e in quale parte.
Certo non è un dolore al dito,
ma un male che fa sudare
chi ne è affetto, e fa tremare spesso.”
Poi la dama si rivolse a Guglielmo:
"Signor Guglielmo, che Dio mi protegga,
se voi non prendete cibo
è quasi giunta l'ora
che non mangerete mai più."
"Signora," lui rispose, "non posso farci nulla.
Potete ben dire quello che volete,
voi siete la mia signora
e il vostro sposo il mio signore:
ma non potrei mangiare
anche se fossi fatto a pezzi."
"Signore," disse lei, "ascoltate dunque
quanto Guglielmo sia folle.
Appena voi partiste per il torneo,
Guglielmo, che ora qui giace infermo,
se ne venne da me nella mia camera.”
"Venne da voi? E per che fare?
Che cosa vi ha chiesto nella vostra camera?"
"Ve lo dirò di certo, mio signore.
Guglielmo, voi non mangerete niente?
E io racconterò al mio signore
della grande vergogna e dell'infamia."
Disse Guglielmo: "In fede, no.
Non credo che mangerò mai più."
Allora il signore alla dama:
"Per l'anima mia, mi prendete per pazzo,
pensate che sia uno stupido o un nulla.
Ma io vi spezzerò le costole
con un bastone, adesso!"
"Fermatevi, signore,” lei gli disse.
“Ve lo dirò e subito, perdio.
Guglielmo," aggiunse, “volete mangiare?
Io mi libero di ogni cosa, dirò tutto.”
Guglielmo a quel punto sospirò,
e pietosamente le rispose
come colui che sente grande angoscia:
"Non mangerò a nessun costo,
se il male che mi stringe il cuore
non sarà prima alleviato."

Allora la dama ebbe pietà di lui
e al suo signore così rispose:
“Signore, Guglielmo, che vedete qui,
mi chiese il vostro falcone:
ma io non volli darglielo,
e sapete perché? perché dei vostri uccelli
io non ne dispongo."
Disse il signore: "Questo non mi piace.
Avrei preferito che tutti i miei uccelli,
falconi, astori e sparvieri,
fossero morti, piuttosto che per loro
far soffrire Guglielmo per un sol giorno.
La dama lo ha bene ingannato.
“Dunque dateglielo ora,” dice,
*se è questo che volete:
non lo perderà certo per mia colpa.
Guglielmo, per la fede che vi devo,
dal momento che il mio sposo ve lo concede,
agirei assai villanamente
se per mia colpa voi doveste perderlo."
Guglielmo fu al colmo della gioia
quando sentì queste parole,
più di quanto si possa qui descrivere.
Subito si alza e si prepara,
il suo male non lo affligge più.
Appena calzato e vestito
si diresse verso il salone.
Quando la dama lo vide arrivare
negli occhi ebbe un sospiro:
Amore le ha scagliato un dardo,
anche a lei tocca adesso la sua parte.
Amore le fa sentire caldo e freddo
e spesso la fa trascolorare.
Il signore dice a Guglielmo:
"Voi siete un ragazzo ben pazzo,
se del mio falcone vi siete incapricciato.
Io ci ho a lungo riflettuto:
non conosco nessuno, né saggio né folle,
né principe né conte d'alto rango,
a cui l'avrei dato così,
né per preghiere né in cambio di servizio.
" Poi comandò a un paggio:
"Andate a prendere il mio uccello."
Gli fu subito portato:
il signore lo prese per i lacci
e lo donò a Guglielmo,
e Guglielmo lo ringraziò molto.
Disse la dama: "Adesso avete il falcone:
due bisanti valgono un mangone."
Questo fu ben detto: due parole in una,
e Guglielmo avrebbe avuto due cose per una.
E le ebbe prima dell'indomani:
il falcone, tanto desiderato,
e l'amore della dama,
amata più d'ogni altro frutto.

Con la storia di questo fabliau
ho dato un nuovo esempio
a giovani e a valletti
che combattono sotto le insegne di Amore.
Quando danno il loro cuore
a dame di grande bellezza,
subito e con audacia
ne chiedano l'amore.
E se lei dapprima si ritira,
non va lasciata andare:
presto si piegherà alle preghiere,
ma dev'essere lui a insistere.
È così che fece Guglielmo,
che ci mise anima e corpo
e n'ebbe gioia tanto grande,
come avete ben visto.
E che Dio conceda simili gioie,
senza indugio e senza incertezze,
a tutti quelli che per amore
soffrono pene e dolori: e così farà
se agli amanti non manca il coraggio.
E qui finisce la mia storia.

Tratto da:

Il falcone desiderato . Poemetti erotici antico-francesi , a cura di Charmaine Lee · Milano : Bompiani, 1980

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