Pisa e Livorno ~ Montesquieu



non è possibile vedere questa città senza farsi una buona opinione del governo dei granduchi, che hanno fatto là opere così grandi e così belle, una città fiorente ed un bel porto, malgrado il mare, l’aria e la natura.

Arrivai a Pisa il 24 novembre 1728. 

È poco popolata, ma ha i segni d’una città che lo è stata molto un tempo. Dicono che abbia 5 miglia di circuito. Un tempo aveva grandi sobborghi; ma oggi la poca popolazione che c’è è tutta dentro le mura. 

È attraversata dall’Arno, e per i lungarni rivestiti di pietra somiglia abbastanza a Parigi; ed è anzi molto somigliante, se si eccettua la grandiosità del Louvre e degli altri palazzi; e questa parte è molto ridente. Attraverso l’Arno, Pisa comunica da una parte con Firenze, e dall’altra col mare. In fondo alla città, a mezzogiorno, ci sono i cantieri per le galee del Granduca. Ci sono tre bacini per costruirle, e ne costruivano due, ma molto lentamente. Il Granduca mantiene in mare tre galee, che costituiscono tutte le sue forze di mare. Quando le galee sono costruite a Pisa, scendono per l’Arno a Livorno. Vicino al cantiere sono i Bagni o Prigioni degli schiavi, quando sono a terra: sono durissime. Lì erano le antiche prigioni della repubblica di Pisa, e fanno vedere ancora il trabocchetto, dove conducevano i criminali di Stato: il pavimento sprofondava sotto i loro piedi, ed essi cadevano sotto terra, dove alcuni strumenti di ferro li tagliavano a pezzi; almeno così dicono ai viaggiatori. 

Ci sono sull’Arno tre ponti per andare da una parte all’altra della città: quello di mezzo è in pietra, ed è lungo un po’ più della metà del Pont-Royal (1); è a tre arcate, con le curvature di un bellissimo marmo bianco, come le pietre sopra ai muri laterali. In fondo al ponte sono Le Logge, dove una volta si andava a passeggio: è una specie di peristilio di ordine dorico, di forma pressappoco quadrata, di marmo bianco grezzo. Ci sono due file di arcate; poiché ai quattro lati ci sono quattro file di pilastri, e i pilastri del centro sono vicinissimi, i triglifi sopra sono anch’essi vicinissimi, e dato che le arcate non avrebbero potuto mantenere le proporzioni, l’architetto non ha fatto che mettere un altro triglifo al centro di ciascuna arcata. 

Sul lungarno, dal lato sud, c’è una chiesetta chiamata la Spina, gotica, d’un bel marmo bianco, d’una leggerezza sorprendente, come un frastaglio. Le colonne non sono che fusi. E il pezzo gotico più perfetto che abbia visto, e questa piccola opera ha tanta bellezza quanta ce ne può essere nel cattivo gusto. 

Il Palazzo del Granduca è sul lungarno della ripa, sul lato nord-est. All’apparenza non si distingue da quello di un privato. 

La Torre di Pisa è inclinata di 7 passi ordinari e mezzo, e insomma in modo pauroso. Non è che l’architetto l’abbia costruita così, espressamente: basta vedere come le pietre d’uno spazio del parapetto inferiore sono piegate da un lato, mentre le altre si sono alzate. Ho contato, facendo il giro intorno, 77 dei miei passi normali, il che dà un diametro di 25 passi e un terzo. Perciò, finché non penderà più della metà di questa distanza, non cadrà, perché non uscirà dal suo asse, e può ancora inclinarsi di 5 passi senza cadere. E c’è ancora una cosa che l’alleggerisce molto: in alto c’è una balaustrata, da dove s’innalza il fastigio della Torre, il quale però ha un diametro inferiore, diminuito dello spazio di tutta la balaustrata. Ha sette (2) ordini di colonne, senza contare quello sopra alla balaustrata. 

La chiesa del Duomo è una grande e bella chiesa, di architettura gotica (3). Questo grandioso edificio ha, da un lato, la Torre, e, dall’altro, un edificio molto grande che si chiama il Battistero, e di cui parleremo più avanti. L’interno è diviso da quattro file di colonne enormi, che sostengono arcate di altre colonne; ma il fregio è troppo piccolo per colonne così grosse. Ci sono tre porte di bronzo, in bassorilievo, che i Pisani presero (a quanto dicono) a Maiorca, e che venivano da Gerusalemme. Ma siccome i bassorilievi sono gotici, e la scrittura incisa su ogni quadro è gotica, e ci sono scene del Nuovo Testamento, potrebbero essere soltanto le porte della Gerusalemme nuova, fondata dai Crociati, per così dire. Nella chiesa ci sono alcuni quadri abbastanza buoni di Andrea del Sarto. C’è anche un quadro d’un pittore chiamato Luti, che rappresenta una Vestizione di san Ranieri, molto bello. 

Fuori della chiesa, di fianco, c’è il Campo Santo. È un cimitero fatto con la terra che le navi pisane portarono un tempo dalla Palestina, e che si dice abbia avuto una volta la proprietà di far gonfiare i corpi e di disseccarli immediatamente. Il cimitero è rettangolare, chiuso da un muro, lungo il quale corre una galleria in forma di chiostro, rivestita di marmo. 

Lì c’è una bella raccolta di pitture antiche, perché i muri delle gallerie sono dipinti a fresco, e vi si può osservare molto bene il cattivo gusto di quel tempo. È lì che si vedono l’Inferno, il Giudizio universale, il Paradiso, le tentazioni dei solitari, e tutto questo con le singolari immaginazioni di quel tempo. È lì che si vedono Angeli corrucciati trascinare all’Inferno re, regine, prelati, papi, monaci e preti, senza remissione; ma nessun pittore. Si nota che l’immaginazione si è sforzata di trovare le più spaventose figure di Diavoli. Ci sono anche delle pitture di Giotto (4), che sembrano un po’ di miglior gusto delle altre. C’è tutto un lato, quello esposto a mezzogiorno, che è stato fatto da un solo pittore (5). L’altro lato è stato fatto da pittori vari, e numerosi. Dicono che morivano tutti perché lavoravano in un luogo esposto a nord. C’è un pezzo che non era stato finito, e che un pittore più moderno ha voluto finire secondo il gusto antico; ma non ha reso né il vecchio né il nuovo. 

(…)

Mi trovavo a Pisa il giorno di santa Caterina, festa degli scolari (6). Corrono per la città, accendono dei falò, fanno scoppiare dei petardi, e portano in trionfo il loro capo; e quando possono acciuffare un ebreo, lo pesano e lo costringono a dar loro tante libbre di confetture quante sono le libbre del suo peso. C’erano dei soldati sparsi per la città per impedire che forzassero le case. 

La fortezza è in fondo alla città, verso Firenze, sulla riva di sud-est; comunica con l’altra parte della città per mezzo di un ponte. Non è una gran cosa, e può avere un 100 uomini di guarnigione. 

Pisa può distare 8 miglia dal mare. 

L’acqua viene dal monte che è a 5 miglia di distanza, per mezzo di un acquedotto alto 20 piedi circa. 

Pisa può avere da 15 a 16 000 abitanti. 

C’è un edificio isolato, a pianta circolare e a forma di cupola, proprio Idi fronte alla facciata della chiesa: è il Battistero, una costruzione molto massiccia, dai muri spessi. Dentro c’è una galleria formata da dodici pilastri, che gira tutt’intorno; e dato che ci sono due piani, c’è un’altra galleria al di sopra, formata egualmente da dodici pilastri. Queste gallerie sono larghe nove passi, muri esclusi. La circonferenza interna misura 136 passi; il che vuol dire che il diametro dell’edificio è di 39 passi circa. Lo spazio centrale, formato in tondo dai pilastri delle due gallerie, termina in alto in una volta, fatta un po’ a settori, perché c’è un angolo sopra ad ogni pilone, creando una figura un po’ curvilinea, ma da undici lati. Ci sono anche, sotto questa galleria, undici volte, ciascuna fra un pilone e l’altro; ma quella di sotto è sfaccettata, e quella di sopra è formata solo dalla separazione ed è a forma di nicchia. Ho descritto esattamente tutto questo, perché se si provoca un rumore, con un suono grave, come quando si bussa alla porta, o quando si lasciano cadere le sedie di legno di un piccolo coro che c’è lì, ad ogni colpo si produce un rumore che è, né più né meno, come il rumore del tuono, precisamente con lo stesso suono e gli stessi brontolii; mentre, quando il suono è acuto, c’è ugualmente un lungo rimbombo, ma senza brontolii: il suono è unito, sebbene si prolunghi come quando il tono è grave. Non è a dire che l’aria sia compressa, poiché ci sono finestre dappertutto, e due grandi porte sono aperte, in modo che l’aria esce ed entra molto liberamente. E quando sono uscito dalla volta, e mi son trovato nella scala ricavata nel muro, che porta alla volta, e che è un luogo per di più soffocato, non si è verificata nessuna vibrazione. Ora, poiché l’arte di solito imita gli effetti della natura, c’è da credere che il rumore del tuono si produca nelle nuvole come in questa torre. Non sono vapori che escono violentemente a produrre questo suono; c’è soltanto un rumore iniziale, che trova nelle nuvole una specie di volta, come quella che abbiamo descritta. Non si forma un’eco: la voce non è rimandata indietro; è prolungata (7)

Trovo abbastanza ben fatto che la Torre, la chiesa, il Battistero, il Campo Santo, siano separati, e che ci sia molto spazio fra l’uno e l’altro; il che fa un bell’effetto e permette di vedere bene la grandiosità di questi edifici. 

C’è un grande palazzo, quello della fabbrica, sul quale ho visto questa iscrizione: vi si dice che è stata rifatta perché quella antica era andata perduta: 

Edile Joanne Mariani. * Christianissimus Gallorum, Hierusalem et Siciliae citra Phorum rex, Carolus VIII, in his divae Mariae aedibus, idibus novembris MCCCCVC, ex insperato comedit, Pisanae libertatis argumentum. Nunquam tantam magnus Alexander liberalitatem ostendit (8)

Sopra c’è lo stemma di Francia. 

A San Francesco c’è una bella Natività dipinta da Cigoli

La chiesa dei Cavalieri di Santo Stefano è abbastanza bella. È piena di bandiere e trofei tolti ai nemici. La facciata, d’ordine corinzio, e, sopra, composito, mi è parsa piuttosto bella. 

C’è un quadro, una Natività, che mi sembra ottimo (8); ma è assolutamente indecente: mettono la mano fra le cosce d’una donna nuda, che si copre soltanto il seno con le mani. Il seno della Vergine è coperto da un velo, che non scende abbastanza. Ma il quadro è buono. 

L’altar maggiore è tutto di porfido, e screziato. 

Al centro della piazza c’è una bruttissima statua di un granduca, non so quale (9)

I pittori Melani sono due fratelli, e i primi artisti della città. Hanno costruito la chiesa di San Giuseppe, piccola chiesa di ottimo gusto. Hanno affrescato la volta della chiesa di San Matteo; vi hanno rappresentato il Paradiso, e pare bene. Nella parte inferiore, tutt’intorno, c’è un’architettura sorprendente. Ciò che mi sembra ben fatto è che al centro della volta non ci sono altre figure se non un Padre Eterno nello sfondo, mentre tutto il resto è cielo e luce. Ma tutt’intorno, sopra all’architettura, sono i Santi, e, più in alto, il Cristo e la Vergine. Così non si ha alcuna confusione di figure e si può vedere tutto senza torcersi il collo. Da un lato, si vede la metà dell’opera, con comodo, e dall’altro lato, l’altra. Questi artisti non sono usciti dagli Stati del Granduca, hanno soltanto lavorato a Siena; peccato che non siano stati a Roma. 

Livorno dista 14 miglia da Pisa. È una gran bella città, molto popolata e ben fortificata. Le vie sono larghe, dritte, ben tracciate. La piazza è molto grande, e la città, ridente. Ci saranno 40 000 abitanti di tutte le razze: Greci, Armeni, Cattolici, Protestanti; ma gli Ebrei arrivano a 6 o 7000, e sono fortemente protetti dal governo. Il commercio principale si fa con l’Inghilterra; poi, con la Francia e con l’Olanda. E il commercio con l’Inghilterra aumenta, quello con la Francia diminuisce. 

Il mare penetra nella terra e fa come una specie di golfo, ed è lì che hanno fatto il porto di Livorno, mediante una gettata o molo. Il fondo del porto è pressappoco a mezzogiorno, e il molo verso occidente o sud-ovest. A nord-ovest è l’imboccatura, che non ha più di 50 o 60 tese per l’entrata, perché c’è un bassofondo che impedisce alle navi di entrare di là. Più a nord c’è il luogo dove fanno la visita medica, e là c’è un grande faro di marmo. Tutto questo lato del porto è un bassofondo, e il fondo è naturalmente chiuso da quel lato. Per entrare, ci sono 7 o 8 tese d’acqua, mentre verso il molo, ce ne sono due, due e mezzo, tre e qualche volta di più, altezze d’uomo; dal lato a nord-est e presso il faro di marmo, ce n’è talvolta soltanto 2 o 3 piedi, e le navi non ci possono andare, e si tengono lungo il molo. Ci sono due macchine, pressappoco come quelle di Venezia, continuamente occupate, nei giorni di lavoro, a vuotare ed a pulire il porto. Vi fanno lavorare gli schiavi. 

Le navi sono sicure assai nel porto. Ma però, ai venti maestrali, si battono, e vanno l’una verso l’altra; i maestrali dunque sono i periculosi venti di quel porto, perché passano per il buco. I libeti [libecci] però venti si rumpono contra il molo; ma fuori del porto questi venti sono cattivissimi.

La punta del molo è difesa da una piccola fortificazione bassa, con batterie di cannoni. È un’ottima cosa per difendere il porto, ma se il nemico se ne impadronisse, di là rovinerebbe la città. 

Da questa torre avvertono anche la città del numero di navi e di galee che appaiono all’orizzonte. 

La torre del faro è dietro il molo. Il male è che si trova troppo vicino al porto e alla montagna che sta dietro, a 3 o 4 miglia verso sud-est; perché di notte, dato che i contadini accendono dei fuochi, i piloti rischiano d’ingannarsi e di andare a sbattere contro la riva, come è accaduto, 

Dalla torre del faro si vedono, al ponente e al lebete [libeccio], l’isola della Gorgona, la Capraia; al mezo giorno, la Corsica, e, al mezodi, più verso la terra, l’Elba. Si vede, al mezo giorno e al siroco, Piumbino. 

La Meloria è uno scoglio a 5 miglia dalla costa. Dopo che una grossa nave vi ha fatto naufragio, vi hanno costruito un faro. Per parecchie miglia intorno a questo scoglio le navi non possono passare. 

Alla punta del capo che è a sud, c’è un luogo dove sono sempre degli uomini con dei cavalli; ce ne sono sempre 12 fuori, per sorvegliare le coste. 

D’estate, nel porto di Livorno ci sono sempre una quindicina di navi straniere; nelle altre stagioni, di più, d’inverno, 50, 60 e anche 70. 

Il lato orientale del porto, verso terra, è formato da una lingua di terra, che hanno rinforzato con palafitte e ghiaia; vi hanno costruito sopra dei magazzini e un grosso muro, per separare il porto da un porto più piccolo chiamato Darsena, che serve solo per le galee del Granduca e per le barche. 

Oltre alla piccola fortificazione che è sulla punta del molo, come abbiamo detto, c’è la Fortezza Vecchia, verso il mare, bagnata dalla Darsena, che la circonda dal lato nord-est; e c’è ancora la fortezza nuova, che è verso l’interno. 

Livorno è molto ben difesa, tanto dalla sua stessa posizione, quanto dalle due fortezze. Il mare entra nei fossati della città e dei forti, e la circonda da un capo all’altro. 

Il mare contribuisce anche a formare un canale, che arriva fino a Pisa e prosciuga tutto il paese, che prima era in parte paludoso, e la manutenzione del canale viene curata da alcune macchine, che ne tolgono la melma. Da quando è stata fatta quest’opera, l’aria di Livorno è divenuta più sana. 

Ma poiché il canale imbocca l’Arno a Pisa, e questo fiume, rapido e limaccioso, riempiva di sabbia il canale, hanno costruito una cateratta, e lasciano entrare l’Arno nel canale solo quando è chiaro. Ma c’è una ruota sulla cateratta, che solleva le imbarcazioni per farle passare dall’Arno nel canale o dal canale nell’Arno. Siccome l’Arno è rapido, trascina con sé la sabbia, il che non avverrebbe nel canale, che non ha quasi pendenza. 

In conclusione, non è possibile vedere questa città senza farsi una buona opinione del governo dei granduchi, che hanno fatto là opere così grandi e così belle, una città fiorente ed un bel porto, malgrado il mare, l’aria e la natura. Se c’è qualcosa da ridire sulle fortificazioni, è che sono troppo belle e troppo importanti per il principe, perché richiederebbero una guarnigione considerevole. Il Granduca, che ha solo 3000 uomini, è costretto a tenerne là una grandissima parte. Dà alle sue truppe una paga troppo alta, con la quale potrebbe mantenerne un terzo in più. 

Note:

(1) Il celebre e più antico ponte di Parigi (1606), che attraversa la Senna e la punta estrema occidentale dell’Ile de la Cité. 

(2) Montesquieu calcola anche le arcate cieche del primo ordine. 

(3) In realtà romanica. 

(4) Non risulta che Giotto abbia lavorato agli affreschi del Camposanto. Attribuzione dell’epoca, probabilmente. 

(5) Allude al ciclo di storie del Vecchio Testamento di Benozzo Gozzoli, nel braccio settentrionale. 

(6) II 25 novembre. 

(7) Dieci anni prima, nel 1718, Montesquieu aveva letto all’Accademia di Bordeaux un Discorso sulla causa dell’eco (introduzione ad uno studio più approfondito dell’abate Jean de Hautefeuille, 1647-1724); nel 1726 aveva scritto un Discorso sulla causa e gli effetti del tuono, mai pubblicato, e di cui si è perduto il ms . 

(8) « Essendo edile Giovanni Mariani, Carlo VIII, re Cristianissimo di Francia, di Gerusalemme e della Sicilia al di qua del faro in questa casa della divina Maria insperatamente si fermò a mangiare, segno della libertà di Pisa. Mai il grande Alessandro mostrò tanta liberalità ». Il palazzo è quello dell’Opera del Duomo; l’iscrizione così continua: «Hanc inscriptionem vetustate ferme consumptan ne rei memoriam periret marmore insculptam curavit Julius Gaetanus Aedilis An. D. 1695» [L’edile Giulio Gaetano fece incidere nel marmo questa iscrizione, quasi del tutto consunta dal tempo, affinché non si perdesse il ricordo dell’avvenimento]. 

(9) È la famosa Natività di Angelo Bronzino (lodata dal Vasari e dal Borghini); la Natività del Cigoli [non Civoli, come si legge nel ms e nei testi a stampa], cui si accenna poco prima, è ora nel Museo Nazionale, dopo la chiusura della chiesa e del convento di San Francesco (1800). 

(9) Cosimo I. 

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Tratto da:

Montesquieu , Viaggio in Italia ; a cura di Giovanni Macchia e Massimo Colesanti ; Bari : Editori Laterza, 1990

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